Cosa possono svelare i dati? L’abbiamo chiesto a Federica Fragapane, data artist capace di infondere empatia ai numeri e creatrice di opere esposte al MoMA di New York

Se fossero i dati a raccontarvi chi è Federica Fragapane probabilmente la descriverebbero come una moderna Babel Fish - il pesciolino di Guida galattica per autostoppisti - capace di tradurre masse di numeri in storie visive.

L’abbiamo incontrata in Triennale al Forum Inequalities - il public program che anticipa i temi della 24ª Esposizione Internazionale - e ci ha raccontato il suo approccio alla data visualization.

Come sei arrivata ad essere una visual artist?

Federica Fragapane: "Mi sono laureata in Design della Comunicazione al Politecnico di Milano e ho iniziato la mia carriera nel laboratorio di ricerca Density Design.

Oggi sono freelance e coltivo l’idea che la data visualization sia uno strumento che crea un ponte tra qualcosa da raccontare e qualcuno a cui raccontarlo.

I dati per me sono un alfabeto: un linguaggio adattabile a diversi contesti e necessità. Per esempio, quando lavoro per le Nazioni Unite o per l’Unione Europea, uso segni analitici, geometrici e minimali. Altre volte, quando racconto storie più intime o emotive, ricorro a forme organiche che evocano la presenza viva – o la negazione della vita – che si cela dietro quei dati".

Cosa aggiunge alla nostra comprensione della realtà la data visualization?

Federica Fragapane: "La premessa essenziale è che i dati non sono mai neutri e devono essere maneggiati con spirito critico. Dobbiamo sempre chiederci: chi li ha raccolti? A quale scopo? Quali pregiudizi potrebbero influenzarli? La mia scelta di rappresentare i dati con forme “fragili” invita a riflettere sulla loro umanità: non solo perché raccontano storie umane ma perché c’è un processo interpretativo umano.

I dati aprono tante finestre sulla realtà.

Sono creature tridimensionali, sfaccettate e irregolari. Il mio lavoro somiglia a quello di un fotografo: scelgo un punto di vista, e attraverso i dati cerco di raccontare la storia da quell’angolo. Ma, oltre a presentare i fatti, cerco di invitare le persone a leggere quei dati, a connettersi emotivamente e a cogliere le sfumature invisibili che spesso si nascondono dietro ai numeri".

Immergiamoci in queste materie vive: come può la data visualization aiutarci a raccontare temi duri come le disuguaglianze?

Federica Fragapane: "Nel 2016 ho realizzato The Stories Behind the Line, per raccontare il viaggio verso l’Italia di sei richiedenti asilo. Ho raccolto informazioni sui giorni di viaggio, chilometri percorsi e mezzi di trasporto, cercando di rappresentare questi dati in modo asciutto e pulito, rispettando il tono con cui loro stessi mi hanno raccontato le loro esperienze. Ho cercato di evitare un linguaggio spettacolaristico, concentrandomi invece su una rappresentazione intima e diretta.

Un altro progetto recente riguarda le proteste in Iran, dove ho creato una visualizzazione che rappresentava una treccia fatta di tanti capelli, uno per ogni persona uccisa durante le manifestazioni. L’immagine richiama il gesto delle donne iraniane di tagliarsi i capelli per protesta. Per me, era un modo per mantenere viva l'attenzione su un tema che rischiava di essere dimenticato.

Lo stesso vale per il progetto sull'Afghanistan, in cui ho tenuto il conto dei giorni da quando i talebani hanno impedito alle ragazze e alle giovani donne di studiare. A volte basta un solo numero per rendere visibili discriminazioni e diritti negati.

Credo che una visualizzazione artistica dei dati aiuti a creare un ponte tra storie e persone. Cosa accade in chi guarda se, oltre a comunicare la percentuale di Palestinesi uccisi dall’esercito israeliano, rappresentiamo ogni persona come la foglia di un albero sradicato? O come fili ingarbugliati le barriere che deve affrontare chi denuncia una violenza sessuale?".

Come riesci a equilibrare arte, empatia e accuratezza dei dati?

Federica Fragapane: "Prendo come esempio il progetto Keyworkers per indagare il contributo dei migranti come lavoratori essenziali durante la pandemia di Covid.

Insieme al team abbiamo deciso di rappresentare ogni area geografica di provenienza come un albero, i cui frutti sono le storie di ogni contributo.

In questo caso, abbiamo incrociato fonti di dati diverse, cercando di aggiungere prospettive alternative per raccontare un tema molto polarizzato. Penso che la sfida più grande sia mostrare nuove angolazioni, andare a cercare tra i margini, oltre le narrazioni dominanti, per ampliare gli sguardi sull’oggi".

I dati possono essere alleati nel gestire la complessità?

Federica Fragapane: "Credo che dobbiamo superare la dualità semplice-complesso. La realtà è multidimensionale, e il nostro compito non è semplificarla, ma renderla accessibile.

A volte basta un solo numero per raccontare una storia; altre volte, è necessario lavorare a livelli diversi, esplorare sfumature e angoli nascosti.

Pensiamo a temi come il cambiamento climatico o i diritti umani: sono complessi e non dovrebbero essere ridotti a concetti troppo semplici. Credo che le persone abbiano il diritto di accedere a narrazioni complete e multidimensionali, e il design dell’informazione può essere uno strumento potente per affrontare questi temi senza comprometterne la complessità".

Come ti alleni a evitare bias nei tuoi lavori, sapendo che c’è sempre una componente soggettiva nella raccolta e visualizzazione?

Federica Fragapane: "Cerco di essere molto consapevole di questo rischio, di studiare continuamente (consiglio di leggere i libri di Donata Columbro e Data Feminism di Catherine D’Ignazio), di aprirmi al confronto e all’autocritica.

Per esempio, nel progetto sull’Iran, ho collaborato con persone della diaspora iraniana per assicurarmi che la mia rappresentazione fosse il più accurata possibile.

Sono una donna occidentale con i miei privilegi, e sono consapevole del potere che ho nel decidere come raccontare certe storie. Cerco sempre di agire con delicatezza e di ascoltare le voci delle persone coinvolte".

Un’ultima domanda: per te fare data visualization è una forma di attivismo?

Federica Fragapane: "Ho troppo rispetto per chi pratica forme di attivismo, accettandone ogni rischio, per definirmi tale. Cerco di dare il mio contributo con quello che so fare, cercando di evitare forme di attivismo performativo ma credendo fortemente che l’umanizzazione dei dati possa essere uno strumento per tenere la luce accesa su storie considerate periferiche e su diritti negati".