"La chiave dei sogni" alla Fondation Beyeler mette in scena il surrealismo: una cinquantina di capolavori della Collezione Hersaint (compreso il profetico L’ange du foyer di Max Ernst)

C'è una domanda, già di per sé complicata, a cui avrebbe risposto con grande scioltezza gli artisti surrealisti. A porla era Robin Williams/professor John Keating ai suoi studenti ne L’Attimo fuggente: "Che cosa hai intenzione di fare con il tuo unico e selvaggio, prezioso sogno?”

Tipi piuttosto geniali, grazie a sogni e immaginari onirici i surrealisti sono infatti riusciti a costruire una delle più importanti correnti artistiche e letterarie d’avanguardia del secolo scorso.

Proprio a loro e ai sogni la Fondation Beyeler dedica ora una delle mostre più poetiche (e anarchiche) dell’intera stagione.

Si intitola appunto La chiave dei sogni. Capolavori surrealisti dalla Collezione Hersaint e dal 16 febbraio al 4 maggio mette in scena una cinquantina di opere fondamentali di artisti come Salvador Dalí, Max Ernst, René Magritte, Joan Miró, Pablo Picasso, Man Ray, Dorothea Tanning e molti altri.

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Un concentrato di tutto quello che i surrealisti ha prodotto a partire dagli anni Venti del secolo scorso e che continua a influenzare ancor oggi, quasi fosse la luce di una stella vissuta millenni fa.

Nato ufficialmente - ma ha senso parlare di ufficialità quando si parla di surrealtà? - nell’ottobre del 1924, quando Andrè Breton ha pubblicato il manifesto surrealista, questo movimento si è via via propagato nel corso dei decenni nei più svariati settori della creatività contemporanea. Dal design fino alla fotografia.

E sono molti oggi gli artisti - da Mark Ryden (conosciuto non a caso con l’appellativo di "surrealista pop”) al fotografo Joan Fontcuberta, dal brasiliano Carlos Schwabe allo stesso Damien Hirst - che continuano a portare alto il vessillo surrealista.

Da Max Ernst a Salvador Dalí

L’esposizione allestita all’interno degli spazi progettati da Renzo Piano, mette in scena i capolavori della collezione Hersaint. Creata dal banchiere Claude Hersaint, a partire dagli anni Venti del secolo scorso, è considerata una delle più incredibili e preziose della storia dell’arte.

Originario di San Paolo del Brasile, cresciuto a Manaus, nel cuore della foresta Amazzonica, Hersaint si è trasferito a Parigi quando era ancora un adolescente.

Qui ha completato gli studi al Lycée Janson de Sailly e ha nel frattempo coltivato l’amore incondizionato per l’arte. La svolta nella sua vita arriva a 17 anni, quando visita la primissima mostra dedicata a Max Ernst in scena alla Galerie au Sans-Pareil. Folgorato dai colori e dalle forme prodotte dall’artista tedesco, Claude decide di acquistare una delle opere esposte.

Non si fermerà mai più. Dopo Ernst, di cui è probabilmente il più grande collezionista del pianeta, arriveranno altri lavori, altri artisti. Soprattutto appartenenti alla prima generazione di surrealisti.

Da Salvador Dalí a René Magritte, da Yves Tanguy a Man Ray, da Dorothea Tanning fino a Wols. Con molti di loro diventerà anche fidato amico e consigliere. Ad accompagnarlo in questo viaggio c’è sua moglie Françoise. Mentre oggi il testimone è stato raccolto dalla figlia Evangéline Hersaint e da sua moglie Laetitia.

In scena a Rhien, a una manciata di km da Basilea, si possono ammirare tutti i temi più cari a quest’avanguardia. Dall’inconscio alle metamorfosi fino alla foresta, qui vista come terreno fertilissimo dove il mistero può proliferare, quasi fosse una pianta selvatica.

Una mostra che diventa happening artistico

È la prima volta che questi gioielli vengono svelati al pubblico e posti all’interno di un'importante mostra di indagine.

Mostra che diventa con il tempo una sorta di happening artistico: le varie opere surrealiste infatti entrano in stretto dialogo con quelle della collezione permanente che sfoggia fra gli altri gioielli di Bacon, Giacometti e Matisse.

Uno dei lavori più significativi dell’intera esposizione, curata da Raphael Bouvier, è L’ange du foyer (Le triomphe du surréalisme), realizzato da Max Ernst nel 1937.

Il titolo in italiano, l’angelo del focolare, lascerebbe prefigurare atmosfere accoglienti, calde e protettive. Così evidentemente non è. Protagonista del quadro, che ha come tema la guerra civile spagnola, è uno strano mostro la cui postura ricorda dannatamente quella di una svastica, simbolo della catastrofe che di lì a poco si abbatterà sull’Europa.

Ernst ha deciso di chiamarlo così per antifrase: il protagonista infatti non è un angelo, ma un demone che si rivela furioso e distruttivo e che può suscitare solo paura e orrore.

L’opera in questione ha anche un secondo titolo, meno usato: Il trionfo del surrealismo. Anch’esso va letto al contrario: di trionfale in un’Europa su cui pende come una mannaia la minaccia del nazismo e del fascismo c’è ben poco. C’è piuttosto la prefigurazione dell’esilio del pittore. “L'arte è la sola via di fuga dalla follia del mondo”, afferma Ernst.

Nel 1941, fuggirà negli Stati Uniti dove troverà nuovi stimoli, nuovi impulsi e produrrà nuova arte. Molta  di questa entrerà a far parte proprio della Collezione Hersaint.

“Dipingere per me non è un divertimento decorativo o l'invenzione plastica di una realtà sentita - amava ripetere Max - ; deve essere ogni volta invenzione, scoperta, rivelazione”.